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“Pensateci bene prima di Accedere a questa conoscenza: Se deciderete di aprire questa porta non ci sarà più modo di richiuderla”

Le Rotte divine del Nord: dove sono andati gli Dèi?

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Gerusalemme… e i carri volanti

Le parole dello storico ebraico Giuseppe Flavio sembrano spesso soggette a una strana dicotomia di giudizio da parte degli storici ortodossi: quando fa comodo sono storia assodata, anzi vengono assunte a prova della veridicità della storia classica, mentre in altri casi vengono bellamente ignorate o interpretate in maniera allegorica.

Per esempio, nel suo testo “Guerra giudaica” descrisse così la rivolta di Gerusalemme contro i romani nel 66 d.C.:


“Non molti giorni dopo la festa,
il ventuno del mese di Artemisio,
apparve una visione miracolosa a cui si stenterebbe a prestare fede;
e in realtà io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una favola,
se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari,
dall’altra la conferma delle sventure che seguirono.
Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano la città.
Inoltre, alla festa, che si chiama Pentecoste, i sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti
riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo, e poi un insieme di voci che dicevano:
“Da questo luogo noi ce ne andiamo”.

(Guerra giudaica, Libro VI, 296-299)

Stiamo parlando della testimonianza diretta, non riferita da terzi e tra l’altro in presenza di testimoni affidabili, di uno storico riconosciuto e apprezzato per i testi e le informazioni che ci ha tramandato.

Gerusalemme: non solo una città

In Prima di Noi, Capitolo 2” menziono qualche altra decina di “coincidenze” che avvalorano il testo di Giuseppe Flavio e che non avrebbero problemi a passare l’esame attento di una giuria di un tribunale imparziale.

Come il fatto che proprio Gerusalemme è stata luogo di altre testimonianze similari, come quella di Abramo – o di Ezechiele – che vi rivide il “kevòd” di “Dio”.

O più semplicemente le parole pronunciate dal faraone Thutmosis III che definiva la città “IA-UR-SA” ovvero “Il luogo dove si raggiungono i luoghi più distanti della Terra”… quale migliore definizione si potrebbe trovare per un … aeroporto?

Interessanti tra l’altro i nomi dei monti che circondano la “piattaforma aeroportuale”: il “Monte Zion” significa letteralmente il “Monte del segnale”, il “Monte Moriah”, sulla cui sommità è stata realizzata la piattaforma, significa “Monte della direzione”, mentre il monte a nord si chiama “Scopus”, che significa il “Monte degli Osservatori”… curiose coincidenze.

L’oggetto di questo intervento non è però legato al ruolo della città santa nell’antichità, ma piuttosto a rispondere ad una domanda relativamente alla dipartita degli dei: dove sono andati?

Dove sono andati gli dei?

Tra le varie ipotesi, una che sembra avvalorata da numerosi indizi è quella per cui gli dei, lasciato il Medio Oriente, si diressero a NORD.

La mitologia nei paesi baltici vede divinità rappresentate da cappelli con le corna e un pantheon che sembra la solita copia di quello sumero, egizio, greco etc. con le solite dodici divinità e l’assemblea degli dei (senatus divinus), la stessa che ritroviamo nei testi sumeri e nell’Antico Testamento.

Gli Asi, questo il nome degli dei della banda di Odino, ci raccontano tra l’altro che prima di regnare nei freddi territori del nord governavano il Medio Oriente.

Questi continui legami tra il nord dell’Europa e il Medio Oriente, oggetto della recente opera di Mauro Biglino e Cinzia Mele, “Gli Dei Baltici della Bibbia”, sono difficilmente classificabili come coincidenze dalle menti aperte.

Le coincidenze con i miti nordici

Poi ci sono le stravaganti coincidenze e curiosità come l’incredibile opera Omero nel Baltico, dell’ingegnere nucleare Felice Vinci, pubblicata nel 1995, in cui vengono portati all’attenzione del lettore un’infinità d’indizi e coincidenze, anche ma non solo toponomastiche, che dimostrerebbero come le vicende epiche del grande scrittore non si sarebbero svolte nel caldo Mediterraneo, ma bensì nel freddo mar Baltico.

E non sono solo “un paio” di miti a decretare una connessione, ma è possibile identificare un vero e proprio fil rouge che lega il Medio Oriente con il nord Europa, e più ci si informa più aumentano gli indizi che puntano nella stessa direzione.

Nel pantheon che precede la cultura celtica, per esempio, il figlio del dio supremo era chiamato “Oengus” o “Aengus”: Enki, anche conosciuto come Oannes, era, guarda caso, il figlio del dio supremo Anu. 

Ma non solo: i miti irlandesi chiamano il loro dio principale “An Dagda”, il dio padre, il dio buono, padre del dio “Oengus” e narrano che era giunto in Irlanda dall’”Altro Mondo”. Nella storia dei celti vi è all’origine una razza di dei, i “tuatha dè danann”, dei della luce, le tribù della dea madre Dana, una razza di persone alte, belle, che amavano la musica, la poesia e lo sport, ritenuti gli “organizzatori del mondo”.

Coincidenze?

I faraoni nordici

A proposito di dei alti, bianchi, biondi, che dire poi di quello che la moderna genetica sta portando alla luce del Sole riguardo ai “faraoni Nordici”?

Tutankhamon per esempio apparteneva all’aplogruppo R1b1a2, SNP R-M269, ovvero era un occidentale, nel senso odierno del termine, ma ovviamente ciò mal si addice alle caratteristiche genetiche degli egiziani, in cui questo aplogruppo è in percentuale infinitesimale.

Il dato che emerge è quindi che questo faraone, pur regnando sugli egiziani, non condivideva con il suo popolo le stesse caratteristiche genetiche e viste le particolarità dell’aplogruppo R1b, capelli, occhi e pelle chiari, nemmeno quelle fisiche, che dovevano essere marcatamente differenti dal resto della popolazione.

Il DNA di Tutankhamon, con buona probabilità, appartiene ad un sottogruppo dell’aplogruppo R1b, detto SWAMH (Super Western Atlantic Modal Haplotype), che identifica, guarda caso, le popolazioni europee affacciate sull’atlantico, quindi i Baschi, gli abitanti dell’Inghilterra e dell’Irlanda, fin nelle terre scandinave.

Le vestigia degli dèi

Durante le mie ricerche per scrivere il Capitolo 2 di Prima di Noi, “Le vestigia degli dei”, mi sono poi imbattuto in un’altra incredibile coincidenza che consente di fantasticare sulla ROTTA DIVINA del NORD.

Nel 1990, un pilota dilettante danese, Preben Hansson, volando in linea retta in direzione nord ovest sui cieli del suo paese, notò qualcosa di veramente curioso, ovvero che i presunti accampamenti vichinghi, noti come trelleborgs, delle località di Aggersborg, Fyrkat, e Slagelse erano perfettamente allineati su di un’ipotetica linea retta.

La cosa desta ancora oggi non poche perplessità, anche alla luce del fatto che in tutto il mondo si nota uno stranissimo allineamento di monumenti e città lungo quelle che vengono definite Ley Lines: una delle ipotesi è che potessero avere la finalità di fornire degli ipotetici punti di riferimento per velivoli dell’antichità.

Ciò che però lasciava sgomenti è che proprio non si riusciva a comprendere né il perché e né il come gli esperti marinai vichinghi fossero riusciti ad allineare così precisamente le loro fortezze circolari in un ambito geografico tanto esteso.

Ma siamo solo all’inizio dei “problemi”, perché non appena si esamina una cartina risulta immediatamente evidente che queste fortezze non erano per nulla vicino al mare, in prossimità di un porto, dove ci si aspetterebbe che fossero, dal momento che i loro presunti costruttori, i vichinghi, erano notoriamente un popolo di abili navigatori.

Notate come l’area all’interno della perfetta struttura circolare è divisa in quattro zone da due linee perpendicolari e faccio notare che, come al solito, il tutto tende pericolosamente ad essere allineato ai punti cardinali.

Ora ditemi voi perché mai un popolo di marinai, vissuto mille anni prima di Cristo, avrebbe dovuto dannarsi l’anima per creare simili fortezze accampamento, così precise, allineate tra di loro e per di più in alcuni casi pure distanti dal mare? E poi, anche volendo farlo per qualche incomprensibile motivo, come ci sono riusciti?

Non è forse plausibile che l’allineamento delle fortezze su grandi distanze geografiche potesse proprio costituire una sorta di sistema di guida, di riferimento per i velivoli su quella rotta? Del resto, ciò è esattamente quello che fanno i piloti ai nostri giorni quando identificano punti di riferimento noti o tracce naturali sulla superficie terrestre, come fiumi, catene montuose, per determinare al meglio la loro rotta.

L’idea bizzarra ora potrebbe essere quella di esplorare un’ipotetica rotta verso sud partendo proprio dai tre trelleborgs danesi.

I miti greci raccontano di come Apollo, divinità nota per la sua passione per il volo, ogni 20 anni saliva a bordo del suo “carro celeste” sparendo in direzione nord alla volta di Iperborea, il luogo dove si originava il vento del nord e dove il “dio greco” si recava ad insegnare la civiltà.

Interessante che in effetti all’estremo sud di questi possibili percorsi che partono dalla Danimarca troviamo Giza e Delfi: a volte a dire le coincidenze.

Aggiungo che il passaggio da Iperborea ad Atlantide è talmente breve che è meglio finire qui l’articolo altrimenti c’è il rischio che si trasformi nel capitolo di un libro inedito.

I cerchi in Germania

Sembra poi che altre strutture simili siano sopravvissute all’incedere del tempo, della natura e alla civilizzazione dell’Europa.

Un pochino più a sud, in Germania, troviamo il “Goseck circle” e al solito nessuno ci ha capito nulla e infatti gli è stato assegnato il solito ruolo di calendario solare, ovvero ciò che gli esperti dicono quando non ci capiscono nulla e notano alcuni allineamenti solari.

Sempre in Germania abbiamo Pömmelte.

Nel 2015 ne è poi saltato fuori un altro, situato a Nowe Objezierze, poco lontano dalla città di Cedynia, nel nord ovest della Polonia.

Ci vorrebbe qualche riflessione in più, fatta con mente aperta, sul reale significato di queste strutture, stranamente simili tra di loro e difficilmente identificabili in accampamenti vichinghi o orologi solari della notte dei tempi.

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Max Caranzano

Nato a Loano nel 1968, laureato in Ingegneria Elettronica, esperto di Information Technologies, Intelligenza Artificiale e speaker in eventi di livello mondiale.

Autore di libri sulle tematiche energetiche e la salvaguardia ambientale, coltiva da oltre quarant’anni un interesse particolare per la ricerca delle vere origini dell’umanità.

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