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“Pensateci bene prima di Accedere a questa conoscenza: Se deciderete di aprire questa porta non ci sarà più modo di richiuderla”

Il linguaggio degli dei: sulle tracce di un antico idioma… prima di noi

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Uno dei due obiettivi raggiunti scrivendo il libro Prima di noi è stato dimostrare l’esistenza di una civiltà globale antidiluviana.

Premesso quindi che esistesse una precedente civiltà estesa a tutto il pianeta, verrebbe quasi da domandarsi: parlavano un’unica lingua?

Che ce ne fosse una, sembrerebbe scritto un po’ ovunque qua e là, tra le pieghe di quel poco del nostro passato che ci è arrivato.

L’antico idioma

Lo storico Alessandro Polistore (I secolo a.C.) scrisse che originariamente tutti gli uomini parlavano la stessa lingua, ma ancora di più, il cultore per eccellenza del valore intriso nella letteratura, il re assiro Assurbanipal, lo conferma nelle sue enigmatiche parole:

“Comprendo le enigmatiche parole incise nella pietra fin dai giorni che precedettero il Diluvio”

Poi abbiamo l’episodio di Babele, in Genesi 11,9, nel quale la punizione divina è proprio la “confusione” delle lingue, a conferma che prima ne esistesse una sola:

“Per questo la si chiamò Babele, perché là Yahweh confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.”

Cancellare la conoscenza scritta dell’umanità è stato, in quest’ultima civiltà di cui siamo parte, fin troppo semplice: sono bastati un paio di grossi roghi, Alessandria e Cartagine, un concilio di Nicea e diversi fuochi e fuocherelli, di matrice ispano cattolica in Centro Sud America, per quasi azzerare la documentazione scritta dell’umanità… sottolineo la parola “quasi”.

L’antica conoscenza sopravvissuta…

Con i miti, le tradizioni popolari e le lingue parlate però è meno facile, perché cambiare il verbale dei popoli, con cui si tramanda di padre in figlio, da anziano a giovane, è decisamente meno semplice e qualche traccia bella solida rimane sempre e capita d’inciamparvi di continuo.

La tradizione vedica, per esempio, praticamente tramandata solo oralmente fino a 5.000 anni fa, ha attraversato indenne i millenni.

Di recente, leggendo gli scritti di Arthur Posnansky (Vienna, 1873-La Paz, 1946), un brillante e poliedrico ingegnere navale austriaco che visse in Bolivia dal 1903 fino alla sua morte e studiò per oltre quarant’anni i misteri di Tiahuanaco, mi sono imbattuto accidentalmente in un qualcosa di curioso, a proposito di lingue sconosciute o quantomeno finora indecifrabili. Ecco cosa scriveva in un suo testo del 1912:

Esplorando le zone del lago Titicaka, Posnansky descrive a pagina 57 il labirinto del Chinkana:

“A pochi passi da Santiago-pampa, verso nord, si trova il Labirinto “Chinkana”, un palazzo che la tradizione indica come un luogo dove fanciulle accuratamente selezionate o giovani casti si dedicavano solo al culto del Sole, …

…GEROGLIFICO

In una delle stanze del labirinto, segnata sulla pianta della FIGURA IV, c’è una nicchia con una pietra intarsiata con scritte visibili. Questo è forse l’unico residuo incontaminato dell’antico pittogramma degli indiani dell’isola; dovrebbe essere trasferito al Museo di La Paz prima che i caratteri di scrittura si perdano, dipinto con il succo del frutto di una pianta che gli indiani chiamano Nu ñumayu (Solanum aureifolium). Il disegno della scritta è riprodotto in FIGURA IV e finora non siamo stati in grado di decifrarlo completamente”.

In un dettaglio di questa riproduzione nella FIGURA IV che vi ho allegato, Posnansky identifica quelle che a suo parere sono delle analogie tra le scritture degli antichi e misteriosi popoli andini con l’altrettanto misteriosissima scrittura dell’ISOLA di PASQUA, RAPA NUI.

La scrittura Rongo Rongo di Rapa Nui è un mistero ancora oggi e il fatto che rimangano soltanto 25 oggetti in legno al mondo con queste antiche iscrizioni rende la decifrazione impossibile… a meno ovviamente di smettere di considerala unica e originaria dell’isola, magari correlandola ad altre e aumentando i contenuti informativi a disposizione da incrociare…

L’enigma della scrittura Harappa

Esiste un altro esempio di una scrittura misteriosa, antica di almeno 5.500 anni e rimasta indecifrata ai nostri giorni: quella del bacino della Valle dell’Indo, della civiltà di Harappa e Moenjo Daro. Quasi un secolo fa, l’ungherese Guillaume De Hevesy identificò un “apparente legame”… udite udite… con la scrittura Rongo Rongo dell’Isola di Pasqua… in pratica dall’altra parte del mondo.

Qui si sente puzza di bruciato…

Isola di Pasqua, Tiahuanaco e Valle dell’Indo condividevano la stessa scrittura nella notte dei tempi?
Ci sarà mica dell’altro che è sfuggito alla scienza accademica che redige e controlla cosa deve essere scritto sui testi di scuola?

La pedra do Ingà

La “Pedra do Ingá” o “Itacoatiaras do Ingá”, Brasile, è un’enorme roccia di circa 250 metri quadrati, sul torrente Bacamarte, con misteriose iscrizioni e rappresentazioni artistiche.

Figura sopra. Comparazione tra le scritture dell’Isola di Pasqua, valle dell’Indo e Pietra di Ingà.

L’italiano Gabriele D’Annunzio Baraldi (1938-2002), nel libro “The American Hitites”, identifica delle evidenti analogie tra la scrittura della Pedra do Ingá e quella … udite… udite Rongo Rongo dell’Isola di Pasqua.

Quindi Isola di Pasqua, Tiahuanaco, Valle dell’Indo e adesso Brasile… certo che per essere sconosciute e prive di senso tutte queste lingue di tracce ne lasciano ovunque! Sarà mica l’approccio accademico a essere sbagliato?

Aggiungo qualche altro spunto:

  • Baraldi pone in relazione la scrittura della Pedra do Ingá con quella di Karkemich, del popolo ittita, penisola anatolica, Turchia.
  • Sir Laurence Austine Waddell sostenne nei suoi libri l’origine sumeradella cultura della Valle dell’Indo, ipotesi che trova anche riscontri nella mitologia sumera, nelle tecniche costruttive, nel pantheon e nel commercio esistente tra le due aree geografiche.
  • Ci sono evidenti similitudini che legano l’iniziale scrittura Cinese Shang, ruotandola, a quella della Valle dell’Indo.
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Isola di Pasqua, Tiahuanaco, Valle dell’Indo, Brasile, Fenicia, Turchia, Sumer, Cina, ma sarà mica che esisteva un’unica lingua globale qualche anno prima che l’intrepido ammiraglio genovese compiesse il dogma accademico dell’unificazione del mondo?

Un’antica scrittura globale?

Sir William Jones (Londra, 28 settembre 1746 – Calcutta, 27 aprile 1794), un filologo, orientalista e magistrato britannico, studioso di sanscrito, scrisse nel 1786:

“La lingua sanscrita, qualunque sia la sua antichità, è di una meravigliosa struttura; più perfetta della GRECA, più copiosa della LATINA, e più squisitamente raffinato di entrambi, ma ha con entrambe loro una FORTE AFFINITÀ, sia nelle RADICI dei VERBI che nelle FORME GRAMMATICALI, che NON AVREBBERO POTUTO ESSERE PRODOTTE ACCIDENTALMENTE; così forte che nessun filologo potrebbe esaminarli tutti e tre, senza credere che SIANO SCATURITI da qualche FONTE COMUNE fonte comune CHE, FORSE, NON ESISTE PIÙ; c’è un’analoga ragione, anche se non proprio così forzata, per supporre che sia il GOTICO e CELTICO, anche se mescolati con un linguaggio molto diverso, aveva la STESSA ORIGINE con il SANSCRITO; e il VECCHIO PERSIANO potrebbe essere aggiunto alla stessa famiglia”

Però, mi viene da dire,  pensa un po’ cosa si fosse già scoperto a fine 1700 su di una antica civiltà globale, che condivideva un’unica lingua, da cui sembrano derivare tutte le altre e di cui… non si trova traccia nei libri di storia nelle scuole.

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Max Caranzano

Nato a Loano nel 1968, laureato in Ingegneria Elettronica, esperto di Information Technologies, Intelligenza Artificiale e speaker in eventi di livello mondiale.

Autore di libri sulle tematiche energetiche e la salvaguardia ambientale, coltiva da oltre quarant’anni un interesse particolare per la ricerca delle vere origini dell’umanità.

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